Angela Calvini mercoledì 25 novembre 2020 - Al Premio Efebo d'oro il bel lavoro del regista Luca Lucchesi «A black Jesus» di Luca Lucchesi.Tre richiedenti asilo chiedono di portare il Crocefisso alla processione di Siculiana (Agrigento)
Tre ragazzi africani in ginocchio, da soli, sotto all’immagine del Cristo nero nella chiesa madre di un piccolo paesino del cuore della Sicilia. E’ da questa immagine di preghiera e di fede, osservata con i propri occhi, che il regista palermitano Luca Lucchesi ha tratto l’ispirazione per il commovente documentario "A Black Jesus" che racconta in 92 minuti l’incontro, fra antiche diffidenze e nuove aperture, tra un gruppo di rifugiati richiedenti asilo e gli abitanti di Siculiana, un paese in provincia di Agrigento da cui in tanti sono emigrati e oggi abitato soprattutto da anziani. Il documentario sarà presentato alla prossima edizione del premio Efebo d’oro (29 novembre-5 dicembre, l’abbonamento al festival sarà disponibile al costo di euro 4,90) che quest’anno sarà trasmesso online. A black Jesus sarà visibile sulla piattaforma MyMovies lunedì 30 novembre alle ore 21 e sarà introdotto dallo stesso Lucchesi.
Il documentario è diretto dal 37enne Luca Lucchesi, che lo ha scritto con la moglie Hella Wenders, nipote di Wim Wenders che produce il film con Road Movies e con cui il giovane collabora da anni come aiuto regista. Wenders ha visionato personalmente le 150 ore di girato e ha consigliato a Lucchesi, qui alla sua prima regia di filmare personalmente tutto per raccontare in modo più spontaneo la realtà. In questo piccolo borgo a confini meridionali dell’Europa la popolazione venerata a da secoli la statua di un Gesù nero. Quando Edward, 19enne ghanese ospite del contestato centro di accoglienza del paese, chiede di partecipare alla processione annuale e di sollevare la vara del Cristo nero insieme ai portatori locali, la comunità si trova davanti a un bivio. Sono chiamati a mettere in discussione la propria identità, a partire dall’icona stessa della propria fede: un Gesù nero.
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«Questo film nasce nel 2017, quando mio padre morì improvvisamente - ci racconta il regista -. Io sono nato e cresciuto a Palermo, vivo a Berlino da 12 anni con mia moglie e i miei due bambini. Ma tutte le estati da ragazzo le passavo a Siculiana, il paese di mio padre. Papà è morto a maggio, la settimana prima della festa del Cristo nero di cui era uno dei devoti più accessi e attivi». Terminati i riti della Settimana Santa, infatti, a Siculiana fervono quelli per la Festa di lu tri di Maju, cioè la Festa del Santissimo Crocifisso, una delle manifestazioni più partecipate di tutta la Sicilia. In quei giorni da ogni parte d’Italia e dall’estero centinaia di emigrati fanno ritorno a Siculiana per rendere omaggio al loro patrono. «Quell’estate la passai con mia madre a raccogliere più ricordi possibili di mio papà aggiunge - In una giornata torrida entrai nel Santuario del Santissimo Crocifisso, deserto, e vidi tre ragazzi del Ghana in ginocchio che guardavano in alto il Cristo nero in completa adorazione. Tutto è nato da quell’immagine. Parallelamente si stavano svolgendo molte manifestazioni di protesta in paese legate al centro di accoglienza, avevano anche fatto sfilare i bambini delle scuole elementari. C’è qualcosa che non va, ho pensato».
Nel 2014 Villa Sikania, un hotel sull’orlo del fallimento infatti era stato riconvertito dai proprietari in un centro di accoglienza per richiedenti asilo. Al culmine della crisi migratoria il centro arrivava a ospitare fino a 1000 persone, pari a un terzo della popolazione locale. Eppure, pochi sono i siculianesi che hanno mai scambiato una parola con questi migranti. Gli stessi siculianesi, da sempre popolo di emigranti, devono fare i conti con l’esodo dei propri giovani e con la mancanza di lavoro. Una risposta ai problemi del piccolo comune potrebbe arrivare dai giovani migranti residenti a Villa Sikania: la loro disponibilità a rendersi utili per la comunità e ad intraprendere qualsiasi lavoro, purché onesto, potrebbe ravvivare il destino di Siculiana. Ma lo status di richiedenti asilo impedisce loro di fare progetti o di ottenere un regolare contratto di lavoro. Siculianesi e migranti restano così divisi: nel documentario da una parte vediamo le simpatiche anziane del paese che preparano i dolci per la festa intonando antichi inni popolari e l’anziano sospettoso che raccomanda all’amico di non fare uscire la moglie da sola con «tutti quei 'nivuri' in giro». Poi però ci sono gli occhi grandi e scuri di Edward, affascinato dalla figura del Gesù nero che vede per la prima volta durante la processione del 2018. «Mi sono chiesto perché dei bianchi adorano un Gesù nero» dice stupito e felice. Così decide di sfidare l’indifferenza dei siculianesi chiedendo loro il più grande onore: partecipare, insieme ai suoi amici Peter e Samuel, ai festeggiamenti del 3 maggio come portatore della vara del Cristo nero .
«Aver conosciuto questi tre ragazzi per me che sono un credente, è stato un segnale - aggiunge Lucchesi -. Per due anni ho seguito questa vicenda. Loro sono cristiani, uno di loro dopo quest’esperienza si è battezzato, ma vivono la fede in una maniera che noi non capiamo, si affidano senza difese al soprannaturale». Per questo Lucchesi si è posto ulteriormente altre domande sulla nostra coerenza. «Come possibile che si sia arrivati a questa intolleranza in un paese di emigrati? La lettura del paradosso di un Cristo nero mi ha aiutato - prosegue -. Come si fa a perdere il senso di un messaggio di fede e a non vedere più il rapporto con Cristo? In un paese di migrazione, di povertà e di fame, dove le persone di sono affidate a questo Cristo nero per 700 anni, ora che arrivano persone che soffrono più di loro, al posto di condividere l’antidoto alle sofferenze, li si esclude dalla cena comune?».
La risposta positiva, però, arriva dalla comunità convocata dall’arciprete Giuseppe Carbone, cui si sono rivolti Edward e i suoi amici, che invita i suoi concittadini a ricordare il senso più profondo del messaggio di Gesù Cristo. Un applauso suggella il conferimento del fazzoletto rosso dei portatori del Crocefisso. Finalmente quei tre ragazzi commossi realizzano il loro sogno, portando il loro Gesù sulle spalle il giorno della processione attorniati da una folla festante. Una vera fraternità, è dunque possibile? Forse tra le persone più semplici e sincere, anche se lo Stato non aiuta. Oggi i tre protagonisti della storia, dopo mesi di lunga attesa, hanno ricevuto il secondo diniego alla loro richiesta e non resta loro che diventare invisibili. Anche se Edward sogna, conferma Lucchesi, di poter portare ancora sulle spalle in processione quel Crocefisso tanto caro.
Via | Avvenire.it
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