Tutto il sapere umano, quindi, è, di base e con l’ausilio delle necessarie semplificazioni, facilmente comprensibile. Ovviamente, nulla viene infuso tramite forme di illuminazioni che dal mitico Iperuranio (che non è un tipo di uranio arricchito!) procedono verso le nostre menti, infine accedendovi. L’intuizione di una verità è alla base della conoscenza, giacché la razionalità è solo lo strumento che ci spiega in parole e numeri ciò che abbiamo già compreso a livello istintivo e come possiamo logicamente allargare l’impiego di una verità così conseguita, ma richiede sempre e comunque un approfondimento da condursi attraverso letture, ricerche ed esperimenti. Per quanto sbagliate possano infine essere le nostre piccole scoperte, esse hanno una grande importanza nel processo di crescita della nostra consapevolezza perché si possono sempre correggere grazie al confronto con gli altri. Non c’è, quindi, supponenza nei miei articoli: a modo mio, io penso di contribuire alla diffusione non tanto della conoscenza, quanto della consapevolezza della nostra ignoranza. A tale scopo le pagine di questo sito mi sembrano migliori di un qualunque blog che io potrei realizzare.
Questa lunga premessa mi è servita per introdurre queste mie opinioni riguardanti il sistema monetario. C’è un assunto di base su cui si basano tutte le teorie monetarie ed è in sostanza questo: la moneta, al pari di un qualunque bene, è scarso in natura ed il suo prezzo dipende dal mercato. L’affermazione che la moneta sia scarsa comporta che in certi momenti storici, ci sia in circolazione davvero poca moneta e che conseguentemente tutte le attività umane si debbano adattare alla bassa quantità di moneta esistente. L’affermazione è tanto ovvia che chiunque può comprenderla razionalmente in tutta la sua evidente verità. Sulla base di questa affermazione – è un’esposizione semplificata di una verità scientifica, ma in sostanza è un’idonea rappresentazione della realtà – la governance dell’Unione Europea (sarebbe interessante spiegare cosa s’intende per governance, ma questo articolo non è la sede adatta) impone politiche di austerità, ossia impone ai governi che più soffrono la scarsità di moneta di aumentare le tasse al massimo e ridurre al minimo le spese pubbliche per reperire la moneta necessaria presso i cittadini. Tutto questo appare inevitabile, perché, se al posto della moneta usassimo delle mele, essendo le mele che possiamo utilizzare solo quelle che possiamo raccogliere dagli alberi, non ci sarebbe altro modo per il governo di ottenere più mele che sottrarle ai cittadini che ancora ne possiedono un po’, una volta raccolte tutte le mele. Dato per scontato che l’idea di andare a rubare le mele ai nostri vicini di casa – cosa che significherebbe fare la guerra agli altri paesi d’Europa e che ha caratterizzato l’economia dei grandi imperi, da quello romano al Terzo Reich – non c’è altro modo di aumentare il numero delle mele, se non provando ad aumentare la produttività degli alberi. Il punto è proprio questo: i soldi non crescono sugli alberi, ci insegnano; ma i soldi non sono beni naturali, quanto beni artificiali con valore convenzionale creati dagli uomini. Quello che voglio dire, in altri termini, è che la teoria, per cui la moneta è un bene scarso in natura, poteva essere valida nel tempo in cui fu formulata, ossia tra il ‘700 e l’’800, quando la moneta era effettivamente un pezzo di metallo pregiato che lo Stato o aveva o non aveva. Oggi la moneta è costituita da pezzi di carta senza alcun valore intrinseco che, in assenza e di una base aurea e di una moneta di riferimento – come era il dollaro fino agli inizi degli anni ’70 – si coprono e si garantiscono reciprocamente. Affermare, quindi, che non si possa stampare all’occorrenza nuova moneta è un dogma del monetarismo, ma non è una verità assoluta, essendo il monetarismo una delle possibili teorie economiche tra le altre. Sfortunatamente per noi italiani, il monetarismo è verità di fede per la Germania e l’Europa del nord a trazione tedesca e finisce per diventare verità di fede per la BCE e tutte le élites finanziarie che giocoforza debbono scendere a patti con la finanza tedesca. Questo non vuole dire che possiamo stampare tutta la moneta che vogliamo e accrescere a dismisura il debito pubblico, perché più una moneta è svalutata e meno è richiesta sui mercati internazionali: in un sistema in cui le monete si coprono reciprocamente, è indispensabile che una valuta abbia mercato. Alcuni paesi possono permettersi di fare deficit e debito perché, essendo in possesso di particolari materie prime o tecnologie, obbligano gli altri a comprarli da loro (USA e Giappone, per esempio). L’Italia non ha di questi primati, quindi, la sua moneta non sarebbe sufficientemente forte: la proposta di uscita dall’euro non è perciò realmente fondata. Una dimostrazione di quanto sia oramai superato il paradigma della moneta come bene scarso in natura potrebbe essere l’esperienza del bitcoin: il bitcoin viene creato quando un computer ha finito di fare utilmente un certo di lavoro e chi ti paga il bitcoin non lo prende da qualcun altro, ma lo fabbrica lui stesso dal nulla. Nel momento in cui questa moneta creata dal nulla viene accettata dagli operatori economici (commercianti, per esempio), diventa una moneta in tutto e per tutto identica ad una moneta tradizionale. La differenza, però, è che la moneta tradizionale la crea la banca, che vi trae un interesse, mentre il bitcoin lo crea un algoritmo senza che nessuno possa lucrarci sopra. Ci sono anche altre differenze, ma questa è la più interessante: puoi ottenere moneta grazie al lavoro e non ci sono interessi sulla produzione mediante i prestiti (le banche creano circolante attraverso i prestiti, ampliando la base monetaria per renderla ben più ampia di quanta moneta fisica esiste realmente nel sistema). Esiste quindi la possibilità di una governance europea diversa, di una governance la cui principale preoccupazione non sia la tenuta e la stabilità dell’euro al fine di mantenere le previsioni di rendimento degli investimenti – di cui certamente non si occupa la stragrande maggioranza dei cittadini europei – ma la creazione di una vera associazione di popoli. Per rendere più comprensibile il discorso, proviamo ad immaginare cosa accadrebbe se le teorie macroeconomiche comunitarie fossero ispirate al keynesismo: la quantità di moneta non sarebbe più data come un fatto naturale, ma sarebbe soggetta a modificazioni periodiche in modo da ottenere il desiderato equilibrio tra tutti quegli indicatori macroeconomici direttamente influenzati dalla moneta, ossia l’inflazione e i tassi d’interesse. L’inflazione, a sua volta, è correlata ai livello di disoccupazione sulla base della curva di Phillips, rappresentazione teorica attraverso la quale è possibile decidere di collocarsi ad un certo livello di inflazione per ottenere il corrispondente livello di disoccupazione/occupazione. Ora, è chiaro che non tutte le ciambelle riescono col buco, ma per lo meno si dimostra che davvero un’altra Europa è possibile. A mio modo di vedere, il monetarismo è una teoria monetaria tutta concentrata sugli interessi finanziari, prima ancora che di quelli del sistema produttivo. D’altra parte non io ma Pino Arlacchi – che è stato anche un importante esponente del centrosinistra italiano (non certo un grillino o un sovranista) – ha sostenuto che la finanziarizzazione dell’economia sopraggiunge nella fase declinante di un sistema economico. Poiché gran parte di noi non gioca con le borse, è chiaro che questa deriva del nostro modello economico va contro gli interessi della stragrande maggioranza di noi. Ecco, al di là delle apparenze indotte dai nostri consumi, viviamo in un’epoca di decadenza economica a cui la teoria monetarista fornisce un ambiente culturale di coltura (scusatemi il gioco di parole). Il problema più grosso della politica europea, però, è che tutti dicono di voler cambiare l’Europa, ma nessuno si presenta agli elettori, alle televisioni e su internet a spiegare tutte queste cose, tranne qualcuno che viene poi antipaticamente tacciato di sovranismo o di populismo. Io penso che i maggiori leaders politici non facciano di questi discorsi perché non ne sanno niente, esattamente come non ne sanno niente i notabili locali che invitano i loro compaesani a votare per questo o per quell’altro candidato. Basare una campagna elettorale per le europee su temi di politica nazionale o sulle consuete pratiche clientelari è qualcosa che va contro l’intelligenza del genere umano e delle sue capacità di comprendere il mondo che lo circonda, ma è indispensabile per venire incontro principalmente tanto all’ignoranza quanto all’opportunismo dei politici di ogni ordine e grado. Alla maggior parte dei politici, sia nazionali che locali, non interessa nemmeno provare a capire certe cose, interessati come sono unicamente ad alimentare continuamente il meccanismo politico-clientelare che, magari distribuisce qualche mollica di qua e di là, ma principalmente serve ad elevare il loro benessere al di sopra del livello di vita del loro prossimo. Oppure sono semplicemente dei disonesti sotto il profilo intellettuale (e dalla disonestà intellettuale alla “occasione fa l’uomo ladro” la distanza è uno sputo). Una delle conclusioni di questo articolo, quindi, è che ci mentono su questo: il problema dell’Italia non è il debito pubblico, quanto la scarsità di moneta imposta dalle politiche monetariste, di cui l’accrescimento del debito pubblico è una conseguenza. La seconda conclusione è che purtroppo la politica ha preso la piega commerciale di parlare per spot e non per ragionamenti, perché i voti si vendono e si comprano come al mercato. La terza ed ultima è questa: la democrazia è agonizzante ed è lì per morire; non morirà di populismo, ma per il prosciugamento delle qualità intellettive e delle sostanze del popolo e la sua conseguente riduzione ad una enorme massa di miseri ed inconsapevoli diplomati e laureati.
Nicola Palilla
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