Presso l'hotel Dioscuri di San Leone si è svolto il convegno "Ed ora, quale futuro per l'Italia?". L'iniziativa, organizzata da alcuni sindaci ed operatori politici dell'agrigentino, nasce dall'esigenza di tornare a parlare di politica, ovvero un serio confronto sulle molteplici tematiche che gli amministratori locali, ed in particolare i sindaci, affrontano giornalmente nell'espletamento del loro mandato.
Sono stati trattati argomenti attuali che interessano l'azione amministrativa dei primi cittadini, in particolare le nuove emergenze idrogeologiche che hanno coinvolto recentemente il territorio agrigentino, il fenomeno dell'immigrazione che interessa il nostro territorio, le esigenze occupazionali dei giovani ed, inoltre, le singole esperienze politico-amministrative. Sono intervenuti Angelo Carlisi presidente del Consiglio del Comune di Grotte, il vicesindaco Cottitto di Palma di Montechiaro, Leonardo Lauricella sindaco di Siculiana, Carmelo D'Angelo sindaco di Ravanusa, Giuseppe Nobile consigliere comunale di Favara, Ivan Paci già consigliere provinciale di Agrigento, Alfonso Provvidenza sindaco di Grotte.
I lavori sono stati conclusi dagli on. Giuseppe Gargani e Calogero Mannino che ci ha rilasciato questa intervista.
Onorevole Mannino, stasera un manipolo di sindaci "con le spalle al muro" si sono interrogati su un futuro per l'Italia. Sottotraccia c'è anche la necessità di occupare il vuoto che esiste al centro della politica italiana.
"Il tema è assolutamente questo, accompagnato da una analisi severa dei problemi italiani. Un'analisi che non consente evasioni, l'Italia ha seri problemi, una crisi sociale che riflette una crisi del sistema economico che ha subito in questi anni una sorta di riduzione di portata e di volume. L'Italia è dentro un sistema globale dal quale non si esce per capriccio perché il mercato globale è una realtà e necessità. Allora occorre una politica che parta dalle considerazioni della geopolitica. Nell'immediato dopoguerra l'Italia era un paese alleato con gli americani, l'Italia era un paese che ha fatto da paciere tra Francia e Germania, è stato avviato il mercato comune europeo, poi la comunità europea e siamo al punto più avanzato ma non a quello necessario perché abbiamo insieme una moneta ma non abbiamo le politiche fiscali e quelle economiche. Allora torniamo indietro? No, dobbiamo vedere come andiamo avanti con saggezza, con prudenza che richiedono oggi il ritorno di una politica piena. La politica non può essere una esercitazione del risentimento, della rivendicazione senza spiegazioni, senza la misura del possibile e della necessità. Da qui l'esigenza di trovare anche una fede in cui la politica sia discussione, riflessione, approfondimento e sia anche decisione. Al fondo poi della nostra crisi c'è il rischio di una alterazione del sistema democratico, di quel sistema che ha affidato la responsabilità delle scelte e delle decisioni alla scheda elettorale, al cittadino non a meccanismi succedanei".
Stamattina sul magazine "Sette" del Corriere della sera c'è una grande inchiesta sul vuoto politico al centro e si ribatte sul bisogno di emozioni e passioni per occuparlo ma non da un solo partito né da un solo uomo. E' così?
"Si, ed è la cosa positiva dell'incontro di questa sera dove non c'è stato un solo uomo ma alcuni uomini impegnati nella gestione dell'amministrazione comunale, un impegno oggi molto difficile. Occorre un impegno collettivo, come a dire un impegno che porti a strumenti di collegamento, di associazione. Perché avere paura della parola? Nel senso moderno, democratico, del partito non del leader, del padrone ma del partito dei cittadini, degli elettori che si impegnano a cercare le soluzioni dei beni comuni. In fondo c'è una vecchia definizione della politica e cioè il cercare, uscire dai problemi tutti insieme".
Lei ha dato ai sindaci alla fine del suo discorso un viatico molto importante avvertendoli che si ritroveranno a lottare contro un difficile esistente. Quasi a voler dire che c'è bisogno di un ricambio antropologico, di cultura, di formazione e che rimanda a una inevitabile palingenesi.
"Purtroppo è così, in questi ultimi venti anni c'è stata una crisi della politica ma anche della cultura. Se vogliamo anche una crisi del giornalismo, basta guardare cosa è stato un certo giornalismo, cosa è stata l'informazione nelle mani delle televisioni di parte, quelle private e quelle pubbliche quando sono state di parte o quando non sono state irreggimentate dalla regola della imparzialità e della oggettività. E vorrei dire anche dalla regola del servizio al cittadino. Basterebbe fare la differenza fra le TV degli anni 60 e quelle di oggi. La prima si sforzava di dare agli italiani gli strumenti della conoscenza, della formazione, quella di oggi non è neanche di intrattenimento, è soltanto di aggressione, di lite, scontro. Così non si va da nessuna parte".
Ricordo anche, e non vuole essere solo una carezza ma constatazione che in quegli anni, da ministro lei era il solo, nei dibattiti, a sostenere le ragioni del sud . Oggi il sud è scomparso dai talk show, è fuori campo.
"Si, è severamente proibito sembrerebbe. Anche perché si è creata purtroppo una metafora infondata tra la Sicilia e la tragedia della Sicilia che si chiama mafia. Per cui quando parli dello sviluppo della Sicilia rischi di essere equivocato e questo ha impedito di parlare della Sicilia in termini oggettivi e anche in termini di verità. E' un interesse di tutto il paese che la Sicilia venga integrata all'interno della comunità nazionale, dalla crescita e dallo sviluppo".
Anche Goethe diceva "se non si comprende la Sicilia non si comprende l'Italia".
"E' una definizione apparentemente poetica ma è assolutamente profonda, tant'è che quando alcune forze politiche si muovono con logiche regionalistiche, territoriali, nord diverso dal sud, dimenticano che casomai facessero quella scelta l'Italia tornerà ad essere una piccola regione della grande Europa. L'Italia è Italia dalla Sicilia a Trento e dalla Sicilia ad Aosta".
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